Dalla platea
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Venerdì 23 gennaio ultimo scorso, alle venti e quindici, io mi trovavo con altre quattro o cinque persone che, come me, non avevano avuta la fortuna di leggere le pochissime strisce che l'impresa aveva fatte affiggere su qualche annunzio nelle vie centrali, dinanzi alla porta sbarrata del nostro Verdi aspettando invano la seconda rappresentazione del Werther. Ognun sa che, da quella sera, non si parlò più di esecuzioni musicali al Verdi e che il teatro è ora chiuso per tutta la stagione. Nel corso di tre mesi è questa la seconda volta che il fatto si ripete. Quando, dopo le poche rappresentazioni di Fedora, nello scorso autunno, il teatro sì chiuse, li impresarii pubblicarono sulla Nazione una lettera giustificativa.
Parevano chiedere li impresarii: «Di chi la colpa: del pubblico che non corrisponde o nostra che non sappiamo incontrare nella scelta delle opere?» Io rispondevo e rispondo ancora: «È dell'uno e dell'altro forse però, è maggiormente, dell'impresarii» Nel 1902, per non dire che delle cose più recenti, avemmo in Firenze nel marzo, al Verdi la Fedora, nel giugno quell'opera fu data, di nuovo, al Politeama ed ancora nell'ottobre si riprese al Verdi. Il nostro pubblico, è vero, non ama molto che gli si diano opere nuove perchè preferisce indugiarsi sulla musica che già conosce senza dover darsi la pena di capire un nuovo spartito; ma la Fedora è musica molto facile e, dovendola udire in tre stagioni di uno stesso anno, anche il nostro pubblico si stanca. Quasi lo stesso accadde per Manon di Massenet, senza dubbio alcuno causa principale del presente sfacelo. In Firenze in genere e soprattutto al Verdi non si ha quasi esclusivamente che un unico circolo vizioso di opere: fu tentata, e nobilmente, dall'impresa Scalaberni un'innovazione e furono dati Andrea Chénier ed Amico Fritz ma nel primo l'esecuzione fu molto deficiente e pel secondo li animi non avevano saputo serbarsi del tutto alieni alla questione di Pesaro e l'affrettato giudizio di pochi aveva valso a rendere ostile al maestro livornese la nostra platea. Ma non bisogna cedere alla prima sconfitta. Perchè ricadere di nuovo alla Manon ed al Werther? Il rimedio è così semplice ed i cataloghi delle case editrici sono così ben forniti! Si esca un poco dalla vecchia strada: si lascino dormire nelli scaffali li spartiti ormai troppo noti al nostro pubblico. Qualcuno ha già saputo trovare tre opere che i fiorentini desideravano di conoscere e di risentire. Germania fu accolta con gioia benchè non sia stata troppo apprezzata; si risente ora molto volentieri Tosca e con grande ansia si aspetta Manon Lescaut. Ma bisognerebbe anche inalzarsi di più e salire alle fonti più alte della melodia. Perché non si è mai tentata l'esecuzione del Tannhauser del Tristano ed Isotta della Walkyiria? Perchè Wagner deve restare quasi ignoto per noi? Io sono sicuro di interpretare ora il desiderio di molti fra i giovani desiderosi di conoscere e di apprezzare il bello. Il teatro di musica continuando per questa strada andrebbe qui da noi verso lo sfacelo, poi che nelli ultimi tempi si era ridotto ad un eccitamento afrodisiaco qualunque che í critici d'arte non combattevano e che quasi incoraggiavano. Di Otello e di Falstaff non si è mai parlato dopo la morte di Giuseppe Verdi e nessun modo migliore ci poteva essere per onorare la memoria del maestro. Non mi si dica: «il pubblico non ha più culto pel bello!» Non è vero; la società fra li autori di teatro potè vedere che ancora molti si occupano e si interessano delle vicende della nostra scena. Alla prima rappresentazione del teatro d'esperimento, il Salvini era pieno di buon pubblico; la prova falli non certo per cattiva intenzione delli ascoltatori. L'esperimento ripetuto, alla seconda recita accorse meno gente e nel secondo lavoro furono riscontrati difetti maggiori che nel primo. Ma si tenti qualcosa di nuovo, si faccia ogni sforzo per rimettere ín onore il teatro lirico e drammatico. Ancora il bello si può e si deve apprezzare!
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